“ Chi lo avrebbe mai detto che qui dentro un giorno ci sarebbero entrati dei bambini”
dice Michele guardandosi intorno mentre ci accompagna attraverso i chiostri dell’ex-opg, verso le celle che conosce fin troppo bene. Scrivere gli ha reso più sopportabile l’inferno della detenzione in un luogo che, come lui stesso dice, gli apparterrà per sempre. Era l’unico momento in cui si sentiva libero, quando scriveva. La sua voce, i suoi ricordi, la sua presenza intensa e delicata al tempo stesso, ci accompagnano tra le urla e le sofferenze al tempo in cui Sant’Eframo era un opg: le botte, l’abuso di psicofarmaci, i letti di contenzione, il senso di abbandono ed oblio istituzionale e i tanti, troppi, suicidi di uomini dimenticati da tutto e da tutti.
“ Era difficile vivere qui dentro” dice Michele, guardando fuori, attraverso le sbarre della finestra della sua cella, come faceva quando era rinchiuso qui dentro.
Noi siamo lì, con lui, e cerchiamo di registrare tutto, soprattutto il silenzio: ogni sua parola, ogni sua esitazione o sospiro; lo seguiamo senza fargli troppe domande, lasciandolo libero di condurci dove vuole tra gli spazi angusti delle celle. Giriamo senza una scaletta premeditata, senza fretta, quasi a voler sparire dietro il suo racconto intimo e personale, e denso di emozione.
Le pagine del suo diario compongono la crono-storia della sua detenzione, durata 5 anni. Sono tracce indelebili della sua memoria e di quella di Sant’Eframo, forse le più significative tra quelle rinvenute e conservate fino ad oggi.
In una di queste pagine Michele scrive: “ Io sogno che gli OPG scompaiano!”
Al racconto e alle memorie di Michele, si alternano le immagini ed i suoni del presente: dei ragazzini che giocano a calcetto e delle voci, dei volti di tanti gruppi di persone, di età e di provenienze diverse, che riempiono gli spazi in continua trasformazione di un luogo che sembrava destinato al silenzio e al degrado, e che oggi è pieno di attività e di nuovi abitanti che lo attraversano, e lo curano, tutti i giorni.
Rosa, una ragazza del collettivo Je so’ pazzo ci dice che a loro piace definirla una “casa del popolo”: uno spazio in cui incontrarsi anche per migliorare la qualità della vita delle persone, per confrontarsi sui problemi e sulle esigenza comuni, a partire dai più bisognosi. L’ex-opg è vissuto e attraversato da una comunità sempre più numerosa ed eterogenea: studenti, lavoratori, disoccupati, immigrati ed abitanti del quartiere si riuniscono nelle diverse assemblee, durante le iniziative politiche e gli eventi culturali che si svolgono dentro e fuori le mura di Sant’Eframo.
Il film osserva e racconta il luogo e la sua trasformazione nel tempo, alternando passato e presente, ed interrogandosi sul futuro. L’occhio della telecamera si muove come il vento, lungo i corridoi, verso le ore d’aria, dentro e fuori le celle, cercando di cogliere i momenti più significativi di una stagione di cambiamento, i suoi significati più profondi e metaforici, universali, che emergono dal forte contrasto tra reclusione e libertà, tra passato e presente, tra perdita della memoria e ricostruzione collettiva dell’identità di un luogo, e della sua memoria, che oggi appartiene a tutti.
Premi e Riconoscimenti
Vincitore de Lo Spiraglio Film Festival edizione 2018
Vincitore di Ischia Film Festival – Sezione Scenari Campani- edizione 2018